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ENDODONZIA

Terapia canalare per salvare il dente

L’endodonzia (dal greco ἔνδον, ovvero «posto all’interno») è la disciplina volta a curare le radici dei denti interessati da una carie profonda (che ne ha esposto il nervo) o da un granuloma apicale (infezione localizzata sulla punta della radice di un dente necrotico). Comprende trattamenti ortogradi (cure canalari su denti vitali e ritrattamenti canalari su denti necrotici) e retrogradi (endodonzia chirurgica). Una volta rimosso il tessuto pulpare, il dente viene strumentato, deterso, sigillato e successivamente ricostruito con un intarsio o una corona per garantirne l’integrità nel tempo.

Le 3 fasi di un intervento di endodontico:


1. Sagomatura
Sagomatura canalare per rimuovere il nervo e i residui pulpari raggiungendo l’apice radicolare

2. Disinfezione
Disinfezione della parte interna della radice dove era contenuto il nervo.

3. Sigillatura
Sigillatura tridimensionale della cavità per evitare infiltrazioni batteriche.

La radici dei denti sono come le fondamenta di una casa: la struttura esterna è stabile solo se la base è sana.

Di cosa si occupa l’endodonzia?


• Trattamenti ortogradi
   - Cure canalari\devitalizzazioni su denti vitali
   - Ritrattamenti canalari su denti necrotici

• Trattamenti retrogadi
   - Endodonzia Chirurgica

Quali sono le cause delle patologie endodontiche?


• Carie profonda
• Traumi che interessano i tessuti interni del dente
• Interventi dentistici eseguiti in maniera clinicamente scorretta
• Presenza di granuloma o cisti radicolare

LE NOSTRE TECNOLOGIE PER L'ENDODONZIA



Motore endodontico

Rilevatore apicale


  • Il dente devitalizzato diventa nero?

    NO. I trattamenti endodontici moderni hanno messo al bando l’uso di cementi canalari a base di formaldeide e l’uso dei coni d’argento, materiali che contribuivano a scurire il dente trattato. Oggi si utilizzano materiali che, assieme all’uso di soluzioni di ipoclorito di sodio, non danno luogo alla decolorazione del dente devitalizzato. Una nuova attenzione alla pulizia endodontica, inoltre, garantisce che non resti alcun tessuto necrotico all’interno del dente. Un tempo, una strumentazione inadeguata e scarsa pulizia erano fattori che contribuivano alla decolorazione: il tessuto necrotico pulpare rimasto all’interno del canale veniva infatti “mummificato” dalla presenza della formaldeide, ma questo non impediva la sua degradazione e la conseguente pigmentazione scura della dentina. La stessa colorazione rosso-bruna dei vecchi cementi contribuiva alla pigmentazione della radice.

  • Il dente devitalizzato è più debole?

    NO. Le nuove tecnologie sono molto meno invasive di quelle di una volta. La sagomatura canalare contemporanea non danneggia il dente all’interno e “scava” cunicoli di dimensioni tali da preservare la robustezza del dente. Nel caso il dente fosse davvero compromesso, si passerebbe comunque alla creazione di una corona atta a proteggere il dente e a renderlo forte come nella sua forma originale.

  • Il dente devitalizzato è morto?

    NO. Un dente devitalizzato è vivo ma non vitale: avvengono cioè scambi biologici tra interno ed esterno del dente anche quando esso è devitalizzato. Il dente, privo del nervo, non ha più lo stimolo del dolore nei confronti di una carie. Per questo è importante che venga controllato clinicamente e radiograficamente, almeno una volta l’anno, per escludere eventuali carie o infiltrazioni.

  • Un dente devitalizzato può fare male?

    SI. Qualora si sviluppasse un’infezione radicolare – cisti o granuloma – anche se il dente non è più sensibile può essere dolente: i tessuti circostanti (legamento parodontale, osso alveolare e gengiva) rimangono infatti vitali e quindi sensibili rispetto a un processo infiammatorio.

  • Di cosa si occupa l’endodonzia chirurgica?

    L’endodonzia chirurgica si applica quando non è possibile la terapia ortograda, ovvero quando non si può operare attraverso le normali vie dei canali radicolari del dente. Il suo obiettivo è quello di rimuovere chirurgicamente una lesione cistica alla radice del dente per poi operare, in via retrograda, una sigillatura dell’apice radicolare al fine di ripristinare una situazione ermetica alle infiltrazioni batteriche.